venerdì 26 febbraio 2010
La preparazione degli oleoliti spagyrici sarebbe preferibile praticarla nei periodi che vanno dalla Luna Piena di Maggio alla Luna Piena di Settembre e prevede la messa in infusione della pianta fresca asciutta (colta nel suo periodo balsamico in orario assolato da mezzogiorno alle due, oppure, per alcuni, nell’ora diurna posta tradizionalmente sotto “la giurisdizione del pianeta dominante la pianta stessa”) o secca, in olio, come già indicato per l’oleolito erboristico. L’olio più utilizzato è quello di oliva extravergine, ma spesso è usato anche olio di ricino, che già di per sé offre caratteristiche curative peculiari, quali: essere antisettico, disinfettante, antimicotico e calmante nel caso di dermatiti.
Ora, non essendo io un esperta in Spagyria, posso solo raccontarvi come si operava ai tempi dei guaritori popolari (che non erano certo esperti spagirici-speziali, anche se le loro vecchie modalità risultano ancora oggi diverse dal solito oleolito erboristico.
-Si riempiva il barattolo metà di erba e si ricopriva del doppio con l’olio, si lascia un terzo del barattolo vuoto e si chiudeva ermeticamente.
Il barattolo, anche a seconda della pianta, andava tenuto per circa 28 giorni fuori, esposto al sole e alla luna e andava agitato ‘d’obbligo’ per una volta al giorno, preferibilmente dopo il tramonto del sole. La preparazione dell’oleolito, esponendolo ai raggi solari, permetteva di fondere i “magnetismi” della pianta con quello dell’olio stesso, magnetismi a cui, naturalmente, si aggiungevano quello del caldo Sole e della notturna Luna, che sapeva “disinfettare argentandola” l’infusione, caricandola con la sue diverse fasi di luce lunare.
- Alla fine del tempo si filtrava, si strizzava, torchiando la pianta per recuperare il più possibile l’olio intriso del passaggio medicamentoso delle erbe.

- A questo punto, l’erba strizzata si poneva in una pentola vecchia e si bruciava fuori, all’aria, fino a far diventare il residuo delle piante cenere. In questa cenere "preziosa" erano i Sali stessi della pianta messa in infusione nell’olio, che non si erano sicuramente disciolti in esso.
- La cenere veniva posta poi in una pentola di coccio pregiato, o porcellana da fuoco, su fuoco lentissimo, ricoperta di acqua piovana filtrata oppure da acqua distillata, e si portava a evaporazione, procedimento da ripetere 2, 3 o più volte fino a ottenere che la cenere si fosse trasformata in sale bianchissimo.
- Quindi, ancora calda si aggiungeva all’oleolito precedentemente filtrato, rimettendo il barattolo chiuso per ancora un ciclo lunare (circa un mese) esposto all’esterno, come prima, solo che stavolta si agitava molto di meno, una o due volte all’inizio e poi bastava.
- Dopodiché, al passare della lunazione, si rientrava il tutto, si filtrava ancora con una garza fitta di cotone e si poneva in bottiglie di vetro scuro, conservandolo al buio, a temperatura costante, lontano da eccessivi sbalzi termici.
Per l’oleolito di Calendula, di bacche di Alloro, di Bardana radice, quando avevo tempo li elaboravo ancora cosi e, almeno per me, sembravano possedere virtù maggiori dell’altra macerazione d’oleolito erboristico. (Virtù che vi racconterò in un prossimo post)
***
PS: la seconda immagine é sale derivato dalla cozione dei residui di una pianta macerata in olio, quasi ultimato, mancherebbero ancora "due ri-cotture" . (immagine presa dal web)
******

1 commenti:

Delfo ha detto...

I tre olioliti elencati li ho utilizzati con giovamento. Conoscevo poco la procedura. Articolo ben scritto. Un saluto.

Posta un commento